Sabato 7 settembre è stato presentato in anteprima al Toronto International Film Festival il docufilm Andrea Bocelli: Because I Believe. Un’occasione unica per conoscere a fondo la storia del tenore di fama internazionale, che si racconta senza filtri tra vita privata e carriera. L’artista toscano si è soffermato nel dettaglio anche sul modo in cui, progressivamente, ha perso la vista. Non solo: si è aperto anche sulle proprie fragilità e sulle figure di riferimento che lo hanno ispirato.
Il film concerto, che celebra trent’anni di luminosa carriera, arriverà nei cinema in autunno e include interviste e filmati d’archivio delle sue esibizioni, ripercorrendo le tappe più significative del suo successo. C’è spazio, si accennava, anche ai momenti dolorosi. Su tutti, la cecità. “Da bambino, ero considerato estremamente miope – racconta il 65enne – Riuscivo a vedere tutto, ma solo da vicino. Ricordo molto bene il mondo che vedevo. I colori, tutto. Come potrei dimenticare quei ricordi?”.
Il fratello Alberto aggiunge che, all’età di 7 anni, Andrea cominciò a frequentare un collegio per ipovedenti, poiché “nessuna scuola locale lo avrebbe accettato”. È stato un periodo molto difficile per il cantante e per la sua famiglia, che poteva vederlo soltanto una volta al mese. Il colpo di grazia, tuttavia, arrivò qualche anno dopo. Bocelli aveva 12 anni e, a seguito di un incidente, rimase completamente cieco.
Un giorno, giocando a calcio, ero il portiere. Non ho idea del perché, visto che non ero mai stato in porta prima. E non avrei mai più fatto il portiere. Una palla mi ha colpito dritto in faccia. Da quel colpo, un’emorragia… e il resto è storia.
E ancora, sull’immancabile ed amorevole supporto della mamma: “Mia madre temeva che non sarei stata in grado di badare a me stesso. Ha lavorato duramente per darmi tranquillità e stabilità”.
Andrea Bocelli sull’ansia da palcoscenico: “Pavarotti mi ha aiutato”
Bocelli ha duettato con le voci più potenti e famose al mondo, tra cui Celine Dion, Barbra Streisand e Laura Pausini. Tuttavia, che ci crediate o no, nei primi anni di carriera ha sofferto di profondi disturbi d’ansia e palpitazioni. L’idea di salire sul palco lo terrorizzava ma, col tempo, è riuscito a gestire e superare questa paura incontrollabile.
Ho sofferto di paura del palcoscenico per molti anni. Un tipo di paura che non può essere espressa a parole. Un’ansia ingestibile. Palpitazioni violente non mi lasciavano andare. Nemmeno sul palco. Duravano per tutto il concerto, fino all’ultimo ostacolo. Questo accadeva perché la mia tecnica non era perfetta.
La svolta per l’artista fu l’incontro con l’immenso Luciano Pavarotti. Osservare quel mostro sacro al lavoro fu un’incredibile fonte di ispirazione, che lo illuminò su come affrontare il suo problema. “Quando ho provato per la prima volta con questo grande artista – svela nel docufilm – mi sono reso conto che non aveva alcuna difficoltà, mentre io ho lottato molto”.
È stato allora che ho capito che aveva una tecnica perfetta. Io non ce l’avevo. Oggi, grazie alla consapevolezza tecnica che ho raggiunto con un sacco di sforzi – sto sottolineando questo: con un sacco di sforzi – non ho più quel tipo di ansia.