Difficile raccontare l’intensità dell’incontro con questa giovane ed affascinante attrice. Letizia Toni ha portato sul piccolo schermo l’emozionate e sorprendente vita di Gianna Nannini, dai 0 ai 30 anni. L’amore, il sogno, la vocazione, il dolore, la fragilità. La Musica. Il successo straordinario del biopic “Sei Nell’anima” (uscito su Netflix il 2 Maggio scorso) è in gran parte dovuto alla sua interpretazione che è riuscita ad umanizzare la vicenda biografica della rocker italiana più forte e celebre di sempre. Abbiamo provato a capire dalle sue parole (generosissime) come è riuscita in questo piccolo capolavoro firmato alla regia da Cinzia Th Torrini…
Partiamo dal grande successo che ti ha travolta: che momento è questo per te?
Questo è un momento nuovo per me. Sapevo di aver fatto un buon lavoro, anche chi lo aveva visto tra gli addetti ai lavori prima che “Sei Nell’Anima” uscisse aveva espresso pareri positivi. Però io aspettavo la risposta del pubblico, che è quella più importante. E devo dire che c’è stato un bel riscontro. Tante personemi dedicano del tempo per scrivermi dei messaggi molto lunghi e molto belli. Questo mi ha dato veramente tanta carica. Noi attori abbiamo dei momenti morti che va dalla fine della lavorazione del film alla sua uscita; questa l’attesa a volte diventa snervante. Avevo un po’ il timore che questo lavoro potesse non essere apprezzato, invece è andato bene. Questo è il momento più bello per me, quello che aspettavo da sempre. Dai commenti che ricevo vedo soprattutto che arriva tutto quello che ci ho messo, tutti i passaggi che ho fatto nel film. Questo mi rende davvero felice…
La tua vita sembra incrociarsi molto con quella di Gianna Nannini, che interpreti in Sei Nell’Anima…
Io e Gianna Nannini siamo anche molto diverse, ma abbiamo dei punti in comune che vedevo mano mano che studiavo: il tipo di famiglia, la vita in campagna, la tendenza ad isolarsi. Ci sono tanti punti di contatto tra noi specialmente nella parte dell’infanzia. Sono partita da qui, quindi, per interpretarla. Sono partita dalla mia esperienza, dalle mie sensazioni e le ho associate alle sue. Ho sentito tutto il suo vissuto come fosse anche un po’ mio e questo mi ha portato ad una dimensione che assomigliava quasi ad uno sdoppiamento; ad un certo punto, quindi, ho sentito tutto quello che ha vissuto nella sua vita come fosse la mia. Grazie a queste associazioni sono riuscita a vivere il personaggio da dentro.
Sembra proprio che tu abbia avuto il grande talento di portare il concetto di “fragilità” ad un livello universale in questo film. Hai portato la vita di Gianna Nannini e quello che ha vissuto come se tutti davvero potessero capirla e rivedersi in lei. Come ci sei riuscita?
Credo che questo venga dallo studio. Io ho sempre osservato in generale le persone che danno la sensazione di essere forti e impassibili davanti a tutto. Spesso questo nasconde la fragilità che accomuna proprio tutti. Siamo tutti soggetti nella vita alle stesse cose: la nascita, la vita, la sopravvivenza e poi la morte, fondamentalmente. Tutti partiamo dagli stessi istinti, sofferenze, traumi, drammi (chi più chi meno). Partendo dalla base di questa natura propria dell’essere umano mi sono avvicinata alla storia di Gianna Nannini, perché queste cose fanno parte anche di una rockstar. Anche lei è una persona normale, è stata un bambina che ha fatto un percorso e che ha avuto una determinata famiglia. Riuscire ad entrare nei suoi drammi cercando di slegarli dalla sua biografia, ho pensato che potesse essere la cosa più utile. Quello che intendo dire è che si fa presto ad andare in internet e vedere la sua biografia, ma la cosa interessante era, per me, la sua vicenda umana, psicologica ed interiore. Anche perché grazie al suo nome ed alla sua fama si possono aiutare anche le persone che vivono dei momenti di crisi interiore che magari possono pensare che se questa crisi l’ha superata una rockstar come Gianna Nannini allora ce la possiamo fare tutti!
Ho letto che il tuo studio della recitazione è passato anche attraverso una figura importante, Giuseppe Ferlito…
Si lui è stato il mio mentore. Io sono sempre stata molto solitaria da piccola e da adolescente, ma fin da piccola avevo questa passione per la recitazione. Dopo i 18 anni sono entrata in questa scuola di recitazione in cui l’ho incontrato. Subito mi hanno affascinata le sue lezioni, perché il metodo dell’interpretazione che ci insegnava passava per delle vere e proprie lezioni di filosofia, cosa che io anche a scuola avevo vissuto in modo molto superficiale. Io andavo lì e mi arricchivo, quando mi sono trovata in questo posto ho capito che quello era il mio posto che ha colmato anche quella sensazione di solitudine che mi ha sempre accompagnata fin da piccola. In questo Giuseppe Ferlito è stato fondamentale per me. Per il lavoro di “Sei Nell’Anima” mi ha seguito dalla preparazione fino ai provini ed è venuto anche sul set. Lui e Gianna mi hanno dato più forza di tutti. Ci sono stati dei momenti difficili in cui ho avuto paura e lui mi ha sempre sostenuto. Per me è una persona molto importante…
Il personaggio che interpreti ha un rapporto molto stretto con il suo corpo, come hai vissuto e studiato questa sensazione di libertà del tuo personaggio?
I suoi erano gesti di rottura, che facevano parte della personalità di Gianna. Lei era così, libera! Odiava le sovrastrutture perché non c’era verità ed autenticità. Interpretava anche una libertà di espressione incarnando lo spirito dei giovani di quel momento storico, degli anni ’70. Noi oggi siamo molto indietro rispetto a quel periodo e lei faceva parte di quella generazione e cercava la libertà di esprimersi. Lei ha un rapporto bellissimo con il suo corpo, asseconda la natura e gli istinti, ovviamente sempre nel rispetto degli altri. Quello era un senso di ribellione ed un messaggio di apertura che ho vissuto anche io in modo molto naturale sul set!
Un altro momento importante del film è quello in cui interpreti il momento di crisi personale di Gianna Nannini, di cui tra l’altro si sapeva pochissimo. Che tipo di lavoro hai fatto per portare sul piccolo schermo quel genere anche di tema, legato alla salute mentale?
Si, non si conosceva molto di questo momento della vita di Gianna. Il percorso che ho fatto io è stato di cercare bene di capire bene cosa si trattasse. Non avevo molte informazioni e Gianna non ne parlava molto volentieri, mi diceva cosa vedeva e cosa sentiva, ma non siamo entrate nello specifico, neanche dicendo cosa fosse accaduto poco prima. Ho provato un po’ a ricostruirlo io e mi sono resa conto, mettendo tutto insieme, che lei aveva vissuto un periodo in cui si sovrapponevano tante circostanze: la lontananza dalla famiglia, il successo che però era stato raggiunto solo in Germania con i grandi numeri. In Italia era stata apprezzata con America ma si scontrava con il bigottismo dell’epoca. A questo punto cercava di andare avanti ma ha dovuto scontrarsi con il mondo della discografia rendendosi conto che intorno a lei ancora non c’era la possibilità di creare un suo stile che la facesse sentire a suo agio, in termini musicali. Questo mi ha aiutato a capire cosa le lavorasse dentro per portarla ad una crisi psicologica. Nello specifico: lei è spinta da questa vocazione di fare musica; la vocazione è una cosa incontrollabile, non decidi tu la direzione, si attivano degli automatismi. Lei con spontaneità seguiva quella direzione ma non incontrava le persone che sposassero il suo mood e perciò non si ritrovava, si sentiva spersonalizzata. Ecco da dove ho sentito nascere questa sua frattura: lei ha sempre avuto un forte senso si integrità e si è ritrovata da sola perché intorno sentiva che la sua verità non veniva accolta ma piuttosto isolata. Quando ho portato questo lavoro a Gianna lei mi ha detto che ero nella direzione giusta. Io mi ero inserita in questo malessere che è quello che poi viviamo tutti e che a tratti ho vissuto anche io nella mia vita: il senso di frustrazione, di sentirsi inadeguati e io ci ho messo poi un sacco di ingredienti anche miei. Ho fatto un mix tra quello che pensavo avesse vissuto lei e quello che ho vissuto io nella mia vita. Ho fatto dei video in cui ho simulato quello che avevo capito io di quel momento, glieli ho mandati e lei mi ha confermato che ero nella giusta direzione. Quello che era successo anche lei non sapeva spiegarmelo, sapeva solo che non si trattava di malattia mentale, è un altro campo. Qui si parla di crisi interiore ed ho lavorato in questo senso…
Il tuo rapporto con Gianna Nannini artista, prima di sapere anche che avresti fatto il provino per interpretarla, quale è stato?
Io ho sempre ascoltato Gianna Nannini e conoscevo perfettamente molte sue canzoni. A 14 anni avevo alcune sue tracce nel mio iPod anche se erano in controtendenza con quello che ascoltavano i miei coetanei all’epoca (ti parlo dei primi anni 2000)…
Tra le tante cose che ti sono riuscite bene in questo film c’è stata l’interpretazione delle canzoni di Gianna Nannini con la tua voce, anche rispetto a questo volevo chiederti come hai studiato…
Io facevo già qualche lezione di canto, avevo iniziato subito dopo il Covid su consiglio, proprio, di Giuseppe Ferlito per migliorare la mia voce che secondo lui era un po’ “debole”. L’intento era quello di rafforzare la mia voce per la recitazione. Cantare poi come hobby mi è sempre piaciuto. Quando ho iniziato a studiare per “Sei nell’Anima” mi sono resa conto passare attraverso lo studio degli strumenti e della voce era fondamentale, perché il personaggio di Gianna non può esistere senza la sua musica. Ho fatto un percorso per studiare come cantava e respirava lei, anche nel parlato. Studiando queste cose mi sono resa conto che lo potevo applicare anche al canto, ma inizialmente non era previsto che dovessi cantare io nel film. Quando la regista ci ha fatte incontrare Gianna mi ha chiesto di cantare una sua canzone, spronandomi molto e mettendomi totalmente a mio agio. Quindi ho cantato e lei mi ha guidata per migliorarmi, e poi mi ha chiesto di cantare con la mia voce nel film. Abbiamo fatto delle vere e proprie lezioni di canto, io con lei, in cui mi ha trasmesso il suo metodo nel cantare. Io ho potuto così vedere dove poggia il respiro quando canta. Lei diceva sempre “io canto con le ovaie” e io pensavo che non potesse essere possibile, perché io sapevo che si usa il diaframma per cantare. Guardandola cantare ho capito che lei muove proprio il corpo affinché la voce esca in un determinato modo, con una spinta dal basso che da rotondità alla voce, con una pasta diversa. Mi sono esercitata qualche mese e via via mi sono avvicinata alla sua vocalità…
A una tua carriera musicale da cantante non ci pensi dopo questo successo?
Io voglio fare l’attrice. Se devo cantare, o anche ballare, per interpretare un ruolo, con un po’ di anticipo io mi preparo e lo faccio. Però diciamo che come mestiere è bene lasciarlo fare a chi lo sa fare…
Dopo questo grande successo, oggi, come va l’amore nella tua vita?
Preferisco tenere la mia vita privata per me, sto vivendo questo momento con felicità perché finalmente dopo tanti anni sono riuscita a fare quello che volevo. Ho lottato e resistito tanto, perché questo mestiere è fatto anche di molta resistenza. Questo è il mio momento e mi sto godendo questo, non vorrei parlare di una mia sfera così privata…